L'anima della città

Sto viaggiando verso Cuneo in questa fresca giornata di sole di fine settembre. Sceso a Torino, avendo ancora un'ora da aspettare, decido di fare due passi verso il centro. Per chi non lo sapesse la stazione di Torino Porta Nuova è molto vicina a piazza San Carlo. Le due sono collegate dalla commerciale via Roma, porticata. Entrando in piazza San Carlo si passa dalla strettoia tra le due chiese "gemelle". Proprio una di queste, Santa Cristina, impacchettata da un ponteggio oramai giunto al termine, presenta nel retro una breve esposizione fotografica sulla storia urbana della Torino del secolo scorso. Al che, fermandomi mi volto e noto meglio le muraglie di cemento che costeggiano via Roma. Palazzoni altissimi e molto ravvicinati che fanno del cielo una stretta scia azzurra, come un neon che illumina la via sottostante. Le fotografie esposte sul ponteggio di santa Cristina riguardano proprio gli sventramenti che vennero fatti per la "sistemazione" dell'area tra la stazione e il centro. Foto che mostrano la spietata realtà prima della costruzione del lungo serpentone di cemento che dimostrano come fosse "indispensabile" quell'opera, foto che mettono in gloria gli architetti, tra cui l'immancabile Marcello Piacentini. Erano quelli gli anni, tra 1936 e '38, del grande stravolgimento all'italiana del bel paese. Anni in cui nella stessa Torino, lo stesso Piacentini dava vita alla sproporzionata torre littoria di piazza Castello.

Come questo, in Italia ne abbiamo mille altri di esempi da poter analizzare. Vie, borghi, città il cui volto è stato sfregiato da grattacieli troppo alti, da vie "trionfali" e da troppo cemento. Cosa è stato fatto alle nostre città? Abbiamo dimenticato o stiamo dimenticando che ogni città è una storia fatta di eventi, volti, persone e soprattutto dotata di un'anima. L'anima della città è quella città invisibile di cui, straordinariamente, parla il Professore Salvatore Settis in uno dei suoi ultimi libri Se Venezia muore per Einaudi 2014 (pp 168). Settis prende in prestito la definizione di Italo Calvino, mago nel mettere per iscritto quelli, che se ci pensiamo, sono pensieri che abitano in tutti ma che hanno bisogno di essere trovati da un autore come lui e messi per iscritto. E la prende in prestito da Le città invisibili in cui Calvino racconta le avventure di Marco Polo che al cospetto di Kublai Kan dovendo descrivere le città visitate nei suoi viaggi non fa che parlare sempre e solo della sua Venezia. Polo, grande esploratore, figlio del mondo e allo stesso tempo senza patria dimostra quel legame fortissimo, carnale e sanguigno con le pietre vive della sua città natale, e in ogni suo viaggio quella città invisibile è li con lui.

Oggi noi, nuove generazioni, riusciamo in questo? No e non per una mancanza di sensibilità. Oggi noi non riusciamo più a portare con noi l'anima delle nostre città perché questa è stata soffocata da una pesante coltre di indifferenza mescolata a cemento. Quei caratteri tipici di ogni città oggi devono umilmente lasciare il posto alle catene di ristoranti e alberghi, ai grattacieli che si impongono alti sui tetti dei centri storici. Stili di vita si vanno uniformando, appiattendo quel gioielliere di usanze e costumi, di modi di vivere che erano i nostri centri urbani.

Se nel secolo scorso il pericolo più grande per le nostre città era di tipo storico, artistico e strutturale oggi a questi primi pericoli se ne uniscono di più insidiosi che sono quelli della scarsità di conoscenza, di disinteresse e di incomprensione.

Questo ho pensato vedendo quella via Roma così cambiata nel giro di pochi decenni e questo peso quando continuo a vedere gli sventramenti che vengono inflitti al nostro Paesaggio, dalla costruzione di alti grattacieli ai fiumi di cemento e nuovi quartieri vuoti alle crociere a Venezia.


A.Z.          11 ottobre 2019

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