Joen & Zozo


- Parte Prima -

Questa è una storia felice e vera, una storia di speranza e di profondo amore.

Joen e Zozo sono due piccoli bambini, nati in Svizzera, nel cantone francese di un paese estremamente ricco, dove la vita è bella e tutti possono vivere una vita dignitosa.

Ci tengo a sottolineare che tutti possono vivere una vita dignitosa perché poco tempo fa sono andata a trovare queste piccole creature ed ho notato come non esistano persone ai margini della società. Ci saranno sicuramente persone più ricche e persone meno ricche, ma nessuno è povero e costretto ad elemosinare per la propria esistenza, ma nessuno nessuno eh. In cinque giorni passati in giro per la Svizzera in lungo e in largo non ho visto mai una persona seduta in terra con un cartello del tipo "ho fame", "aiutatemi", "ho 20 figli e non so come sfamarli", mai, nemmeno mezzo. Sarà vero così?

Capiamoci, io ci credo che tutti in svizzera siano felici ce che sia una terra di possibilità e che lo stipendio medio sia circa il quadruplo di uno stipendio alto italiano, ma davvero uno stato così vicino all'Italia, che ha così tanti problemi a gestire la propria popolazione, sta così tanto bene?

La risposta è sì, cara me, si chiama selezione e loro la fanno molto bene. Aiuta sicuramente il fatto che siano uno stato piccolo, gestito in maniera federale, quindi con una concretizzazione del principio di sussidiarietà molto forte che vince. E loro si amministrano molto bene, stanno bene e vincono.

Questa piccola digressione geopolitica per spiegarvi che in svizzera il caffè costa 4 franchi, ma si sta da dio.

Joen e Zozo sono due polpette di pochissimi anni, a cui la vita sorride e loro sorridono a lei. Joen è il più grande, ha 3 anni, ma ne dimostra tranquillamente 5. Parla molto bene il francese e quando si arrabbia parla anche il tigrigno. Gli piacciono le cose colorate, i libri che parlano di camion e il suo gioco preferito è un modellino di camionetta dei pompieri con cui gioca fino allo sfinimento simulando il suono della sirena con la voce.

Lui ha la pelle color caffellatte e i capelli morbidi e nerissimi, di un nero profondo, bellissimo. Occhi giganti che ti scrutano in attesa ogni volta di una sorpresa, quegli occhi sorridono ancora di più della sua bocca. Joen si inventa la maggior parte delle parole che dice, come ogni bambino temo, ma data la mia poca esperienza nel dialogare in francese, poteva dire qualsiasi parolaccia, che io l'avrei continuato a guardare con la faccia imbambolata e totalmente innamorata di lui.

Due frasi in particolare mi fanno ricordare della sua voce: "c'est moi!" detta con la voce più acuta e dolce della terra, ogni volta che una cosa doveva essere sua, sua e di nessun altro, ma puntualmente me la faceva prendere, per poi continuare a ripetere che: c'est moi!

"N'est pas possible" è l'altra espressione che avrà ripetuto almeno cento volte, cercando di simulare la voce scocciata degli adulti, quando, avendo già finito di mangiare, voleva la sua fetta di torta, e, al rifiuto di sua mamma la risposta è stata un sonoro "N'est pas possible!". Bellissimo.

Zozo è il più piccolo e, come dice la sua mamma, non ha quasi nemmeno iniziato a vivere e a capire, ma capisce tutto benissimo. Gioca, interagisce, e ride tantissimo. Ride così tanto che letteralmente piange dal ridere.

Zozo ha un anno e poco più, anche lui ha la pelle un po' scura, due occhi in cui ci si potrebbe tuffare e nuotare da quanto sono grandi, qualche spelacchio nero in testa, braccia e gambe cicciottissime che urlano mordetemi. Lui non parla, ma ti fa capire tutto.

Zozo si sveglia alla mattina ridendo: se la maggior parte dei bambini appena si svegliano, per attirare l'attenzione iniziano a piangere, lui ride.

Quando sono andata a trovarli hanno impiegato più o meno un'ora per abituarsi alla mia presenza, e poi era come se io fossi sempre stata lì con loro.

In verità io sono sempre con loro, in verità io li conosco da molto prima che nascessero.

Io sono la loro zia e la loro mamma è stata una straniera per me, ma poi è diventata un'amica, poi una sorella.

La loro mamma è una guerriera con una storia lunghissima, anche se ha solo poco più di trent'anni, ha già vissuto quello che qualsiasi Italiano medio vive in sessanta.

Questa è la sua storia, della quale sono voluta partire dalla fine, che non è una fine, è solo lo stato attuale delle cose. Una fine che in realtà è un bellissimo inizio di tutto quello il futuro riserva loro.

Io conosco la loro mamma dal 2010 e probabilmente questa storia Joen e Zozo non la ricorderanno, non la sapranno finché un giorno la sapranno.

Il primo giorno siamo arrivati in Svizzera ed era l'orario di fine pisolino.

Lei ci ha accolto con il suo classico sorriso e le urla di gioia tipiche di chi non vede la famiglia da troppo tempo. Le due creaturine si sono svegliate poco dopo e dalla loro espressione sembrava quasi che gli stessero invadendo casa. Come ho già detto, questa situazione di stallo è durata così poco che non ci siamo riusciti nemmeno a sentire in imbarazzo.

I bambini hanno il potere di annullare qualsiasi barriera linguistica e culturale, mentre giocavamo Joen mi parlava e Zozo mi precipitava addosso cercando di trovare un equilibrio e camminare, ma puntualmente le sue braccia si dirigevano verso di me e si lanciava cadendomi addosso.

Non capivo assolutamente nulla, un po' per l'assoluta felicità che provavo e un po' perché seriamente ho passato tutto il tempo ad annuire e basta, giocando con la camionetta dei pompieri.

Mia mamma abbracciandola e quasi commuovendosi dei suoi piccoli nipotini non poteva credere che in dieci anni lei avesse stravolto completamente la sua vita.

Nel 2008 mia nonna iniziò a stare male, perdeva peso notevolmente ogni giorno e mangiava sempre meno.

A quel tempo andavo alle superiori e un giorno mia mamma arrivando a casa mi disse che la nonna era peggiorata e che avevano chiamato l'ambulanza per portata in ospedale, dove l'hanno rimessa in sesto a suon di flebo e ossigeno. La nonna poi non è stata più lei. Anche quando è tornata a casa, ormai era costretta a letto e il nonno da solo non ce la faceva.

Loro sono sempre stati una famiglia radicata alle tradizioni, quelle del partito principalmente. Vite spese per il partito, che quest'ultimo però non ha mai ripagato. Il loro concetto di famiglia è sempre stato di nucleo ristretto e quando è nato mio padre, primo e ultimo figlio, se avessero potuto avrebbero pianto.

Quindi, alla fine della fiera, quando mia nonna ha iniziato a sbarluccare e non si muoveva più dal letto, al sua capezzale non eravamo proprio tantissimi e si è reso necessario un aiuto dalla regia.

I miei genitori hanno assunto per qualche ora al giorno, una signora carinissima, una vera carezza di persona che prendeva proprio a cuore i proprio "pazienti". Lei era originaria del Marocco, ma viveva in Italia da tempo.

Poco dopo lei ci lasciò per problemi familiari che la costrinsero a far ritorno in Marocco, ma non volendoci abbandonare a noi stessi ci suggerì una ragazza, più giovane di lei, ma che conosceva e sapeva essere affidabile.

Questa nuova ragazza arrivò poco dopo e i miei l'amarono da subito. Al tempo io ero una liceale un po' cretina con brufoli e testa piena di sogni e quindi all'inizio l'ho snobbata alla grandissima, poi un giorno, non ricordo molto bene le dinamiche, la incontrai e mi trovai davanti una ragazza come me. Solo un po' più scuretta.

Lei veniva dall'Eritrea, un paese che per moltissimi anni ha vissuto la guerra civile che l'ha portato alla rovina, poi la guerra contro l'Etiopia, al quale era legato, ma non per cultura e sentimento nazionalistico. La guerra durò fino al 2000 e dopo ci fu quella che si può chiamare pace, ma che per chi la viveva assomigliava di più ad una pentola a pressione. Tempo dopo ci raccontò come questa guerra aveva provocato la fuga di migliaia di persone, lei compresa, e molte di queste sono arrivate in Italia dove hanno trovato una vita migliore. (Oggi, alla luce degli avvenimenti recenti, posso solo pensare a come gli umani ricaschino sempre negli stessi errori, e a come non si rendano conto che queste cose ci sono da sempre, ma è sempre più facile dimenticare e andare avanti).

Diventammo subito amiche. Ci abbiamo messo così poco che non ricordo un giorno senza di lei. I miei praticamente la adottarono come figlia, e per me era praticamente come una sorella. Al pomeriggio, dopo lezione andavo a trovare la nonna Marghe, facevo due chiacchiere con lei e ascoltavo le mille domande ripetute all'infinito. La demenza senile l'aveva resa molto più simpatica e sciolta, ma anche ripetitiva, la sua domanda preferita era diventata: "ti sei iscritta alla patente?", e io ogni volta le rispondevo che avevo l'esame a breve.. che viso soddisfatto che aveva ogni volta! Io avevo 20 anni quando lei è morta, e la patente ce l'avevo già da qualche tempo, ma mi piaceva che lei fosse contenta ogni volta per il mio esame.

Ogni pomeriggio, o quasi, finito il turno dalla nonna l'accompagnavo a casa e ci fermavamo a prendere un bicchiere di vino (anche due o tre) al bar sotto casa sua. Lei era la star de locale: con quei capelli enormi e ricci, con quel tono di voce sopra le righe, era davvero una forza.

Lei non aveva mai vissuto una vita così, ma l'ho scoperto molto dopo, per me era tutto così normale. Uscire e prendere un aperitivo con gli amici, ridere, scherzare, non pensare a nulla, essere leggeri, che bella sensazione.

Parlavamo del più e del meno, di lei soprattutto, di una ventiseienne nell'Italia delle poche occasioni, ma dove si poteva vivere in pace. Le notizie dei barconi che sbarcavano a Lampedusa erano come fulmini a ciel sereno, ma lei sapeva tutto. Il telegiornale spesso faceva vedere le immagini di corpi sulla spiaggia, corpi umani dentro a sacchi di plastica blu. Lei sapeva tutto e piangeva.

Lei è arrivata in Italia nel 2008 e ne ha fatta di strada, tanto che tutti le dicevamo sempre che ormai era diventata in tutto e per tutto italiana e lei rideva così tanto, perché si sentiva davvero italiana, anche se era nera, con capelli che le facevano da casco e il naso un po' più grosso e schiacciato. Una bellissima ragazza italiana.

Joen in pochi giorni mi ha fatto sentire la persona più amata del mondo, non mi lasciava un secondo. Ama gli ascensori della metro e appena ci avvicinavamo lui doveva assolutamente spingere il bottone per chiamare il primo ascensore disponibile. E' il viaggio che preferisce.

Zozo, in tutto questo, stava dentro il passeggino e rideva .Questi due bambini sono nati viaggiando, nati da una viaggiatrice che ne ha passate tantissime, belle e brutte.

A lei piace prendere le cose con calma, in ogni occasione. Non le piace il caos, ma le piace stare in mezzo alla gente, non le piace lo stress, non le piace la vita frenetica. Però vorrebbe fare tutto e qualsiasi esperienza non se la lasca scappare. Si vive una volta sola. E dopo che hai attraversato il deserto e hai rischiato di morire in mare lo sai, e dai un'importanza diversa alla vita, dai un peso diverso alle emozioni che provi e alle esperienze che vivi. Infatti ha sempre fatto tutto quello che poteva.. tutto. E quando si è innamorata di un ragazzo svizzero, ci si è buttata con tutta se stessa, con tutto l'amore che poteva, a capofitto.

Continua..


                                                                                                                 Chiara Cuzzani    29 Ottobre 2019


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